Il disagio può essere qualcosa di estremamente positivo, se ci consente di muoverci da una posizione negativa verso una posizione positiva. Perché questo avvenga, è indispensabile andare a fondo nella sua analisi, perché, solo dopo averlo destrutturato, potremo ricomporlo su nuove basi.
Per farmi capire meglio, esporrò, qui di seguito, un esempio concreto.
Bettina, la moglie di mio cugino, mi ignora alla grande quando io sono in videochiamata col marito (mio cugino!) Questa cosa mi crea un certo malessere, ma per non creare malintesi decido di stare zitta.
A questo punto posso scegliere tra due opzioni:
1) lascio in circolo il mio malessere senza analizzarlo
2) cerco di capire da dove esso nasca
- Nel primo caso mi troverò di fronte ad un’emozione di cui conosco l’origine ma non la natura, che però m’invade in maniera più o meno intensa; se tale emozione si ripeterà parecchie volte nel tempo, senza che ci siano con Bettina esperienze che contraddicano la mia sensazione iniziale, molto probabilmente, si consoliderà in me un’associazione istintiva tra Bettina e un sentimento di malessere. Magari la percepirò come antipatica, oppure ostile, e questo condizionerà per l’avvenire i nostri rapporti, se nessuna delle due sceglierà mai di parlarne.
Con questo tipo di comportamento, avrò espropriato il disagio provato, dal suo potere positivo. Non procedendo ad analizzarlo, resterò ferma nella posizione iniziale, che mi vede “in sofferenza”. In altri termini, semplicemente “rimarrò” nel disagio, senza permettere ad esso di traghettarmi verso qualcos’altro.
- Nel secondo caso, invece, dovrò “scendere” nel disagio “generico” che provo, per approfondire di quale emozione esso è colorato. Per fare questo, dovrò passare necessariamente anche attraverso una dimensione razionale e farmi alcune domande. Ipotizzerò per ciascuna domanda alcune possibili risposte. L’analisi sale di livello per ciascuna lettera elencata: a risposta di I livello a) corrisponde risposta di II livello a) ecc.
Domanda di I livello: Cosa penso o provo esattamente quando mi sento ignorata da Bettina?
- Sembra che io per lei non esista.
- Uffa, mai una volta che mi rivolga la parola!
- Come al solito è sempre occupata quando io telefono e per me non trova mai tempo!
- Ma tu guarda che scostumata!
- Ѐ più giovane di me e mi dovrebbe rispetto!
- Dopo il costoso regalo di nozze che le ho fatto, non mi degna manco di uno sguardo!
Domanda di II livello: Qual è il bisogno o l’aspettativa che c’è dietro il mio pensiero?
- Vorrei che mi prendesse in considerazione
- Mi piacerebbe sentirla più interessata a me
- Vorrei che tra noi due ci fosse una qualche comunicazione
- Dovrebbe salutarmi quando sente che sto al telefono col marito
- Ho bisogno di sentirmi rispettata
- Dovrebbe corrispondere in maniera adeguata alla mia attenzione!
Domanda di III livello: Nelle risposte che ho dato, c’è un sentimento positivo o un sentimento negativo? (per positivo dobbiamo intendere uno slancio di benevolenza verso l’altro, per negativo dobbiamo intendere un’ostilità)
- Positivo
- Positivo
- Positivo
- Negativo
- Negativo
- Negativo
Domanda di IV livello: Quale emozione posso esplicitare dietro la risposta di III livello?
- Dispiacere per la sua mancata attenzione
- Desiderio di un diverso contatto
- Rammarico per la sua indifferenza
- Rabbia per la sua maleducazione
- Insofferenza per la sua condotta
- Pretesa di un diritto
Come possiamo osservare, da questa simulazione di autoascolto, nelle prime tre risposte troviamo i seguenti sentimenti: Dispiacere, desiderio, rammarico che nascono da un’intenzionalità positiva verso Bettina. Una volta che siamo certi delle nostre buone intenzioni, potremo lasciarle venir fuori in maniera costruttiva, passando all’azione nelle future occasioni, con interventi di questo tipo:
- Ciao Bettina, perché non vieni anche tu, vorrei salutare anche te
- Dai, Bettina, sempre a sfaccendare…! perché non vieni a chiacchierare con noi?
- Bettina vieni anche tu, mi piacerebbe conoscerti meglio
In questa maniera, daremo modo al nostro disagio di trovare uno spazio di ascolto in noi stessi e, al tempo stesso, di essere trasformato in un intervento attivo e costruttivo che introduce un cambiamento nella situazione.
Non sono più passiva e subisco, ma intervengo nella situazione, dando spazio ai miei sentimenti positivi. Questo elemento di novità comporterà necessariamente una diversa risposta da parte di Bettina, la quale verrà a conoscenza dei sentimenti provati dalla cugina del marito.
Esaminiamo ora le emozioni di cui alle lettere d), e) ed f). Come possiamo vedere, si tratta di sentimenti negativi che ci orientano al giudizio il quale, come sappiamo, ha sempre una valenza negativa. Da queste posizioni, infatti, possiamo facilmente dedurre che la nostra valutazione parte dal presupposto di una norma inflessibile che non mettiamo in discussione, come educazione, rispetto, riconoscenza, aspettativa da non deludere, e che ci consente di giudicare l’altro manchevole, perché ha contravvenuto all’osservanza del nostro codice personale di riferimento. Per quanto rabbia, insofferenza e pretesa siano sempre legittime, perché appartengono al nostro modo di essere e vanno pertanto sempre accolte e riconosciute, tuttavia dobbiamo essere consapevoli dei meccanismi velenosi che esse innescano nella nostra mente.
Non solo, ma dovremo anche riflettere che, se il nostro codice di comportamento vale per noi, non è detto che esso debba essere condiviso dall’altro, il quale disattendendo le nostre aspettative, POTREBBE anche averne uno completamente diverso dal nostro. Dico “potrebbe”, perché non è da escludere che Bettina, parlando esattamente la medesima lingua della cugina del marito, possa intenzionalmente esserle ostile. Il che significa che il rapporto tacitamente si allineerà su quello di un’antipatica avversione … che fa parte della vita, anche se NON delle persone che consapevolmente “scelgono” di nutrirsi di sentimenti potenzianti e positivi. In questo caso, dovremo ragionare su cosa vogliamo farcene di questa ostilità che ci viene manifestata, e cioè, se ne vogliamo fare motivo di tossicità per i nostri pensieri, fomentando in noi rimuginìi e malesseri, oppure se vogliamo semplicemente metterla nell’elenco delle cose sgradevoli della vita, con cui cerchiamo di fare i conti nella maniera più proficua possibile.
Inoltre, come dicevamo, dobbiamo anche prendere in considerazione la verosimile ipotesi che Bettina faccia riferimento a un codice di comportamento completamente diverso, e che non abbia la più pallida idea di suscitare con la propria condotta, i sentimenti che abbiamo esaminato.
Per questo, ad esempio, Bettina potrebbe non condividere con la cugina del marito, la stessa esigenza di stringere amicizia, potrebbe essere completamente presa dalle sue cose e sottovalutare del tutto il bisogno dell’altra, essere più distratta, essere abituata a rapporti più liberi e “sciolti”, essere più istintiva, o anche lunatica, o anche qualsiasi altra cosa, senza che questo debba necessariamente comportare a suo carico un’etichetta che le attribuisca una volontà di attacco.
Esaminata anche questa seconda ipotesi, potremo ancora una volta scegliere:
- se confermarci nei nostri sentimenti negativi, di rabbia, insofferenza e pretesa
- oppure evolvere verso una maggiore comprensione dell’altro, distinguendo quelli che sono i nostri sentimenti e i nostri bisogni, da quelli dell’altro, senza infossarci in quella confusione percettiva, che accreditando per veri i nostri convincimenti, alimenta il malinteso e il pregiudizio.
Infine, anche se sceglieremo la prima opzione, dovremo però, a questo punto, avere la consapevolezza di trovarci in una posizione di giudizio, e con essa dovremo fare i conti, come con tutti gli aspetti che depotenziano la comunicazione e inficiano una positiva relazione interpersonale.