L’ansia abbandonica e la dipendenza affettiva
A molti capita di incontrare l’amore che cambia la vita e che fa sperimentare continuamente sensazioni bellissime e appaganti. Eppure, nonostante la pienezza di queste sensazioni, taluni non sono esenti dal percepire occasionalmente, nell’ordinario idillio che caratterizza la relazione, una mancanza che talvolta si manifesta. Va tutto a gonfie vele, ma… c’è un piccolissimo, inspiegabile, “ma” che li inquieta. Vediamo di che si tratta.

“A causa del focus assegnato dalla cultura attuale all’individualità e al valore dell’autosufficienza, per alcuni clinici e qualche coppia è difficile pensare alle relazioni adulte in termini di attaccamento… Vale forse la pena fermarsi un attimo e osservare in maniera esplicita le somiglianze fondamentali tra le caratteristiche delle relazioni neonato/bambino-caregiver e quelle di amore adulto (adattate da Shaver, Hazan e Bradshaw, 1988). In entrambi i tipi di relazione, è presente un desiderio profondo di attenzione, responsività emotiva e interesse reciproco.”

Sue Johnson, nel suo libro “Creare relazioni – Manuale di Terapia di Coppia Focalizzata sulle Emozioni”, affronta la natura dei legami di amore adulto e contesta la risposta “affettofobica” con cui l’orientamento cognitivo comportamentale ha sempre risposto alla crisi del legame di coppia, perseguendo il cambiamento nell’affetto, attraverso l’esame delle relazioni oggettuali e l’asettica individuazione di modelli di comportamento alternativi a quelli di partenza.

Essendo una delle ideatrici e la principale fautrice della Terapia di Coppia Focalizzata sulle Emozioni, sinteticamente denominata EFT, la Jhonson rivendica invece proprio la necessità di affrontare, nel processo di riparazione delle relazioni, le emozioni che emergono dai due partner.

Con buona pace di quanti si fanno scrupolo del proprio attaccamento al partner, Sue Jhonson ci spiega che “l’attaccamento è una forza motivante innata” e che pertanto la dipendenza affettiva dal partner è una cosa assolutamente normale, che va messa in discussione solo nella misura in cui è disfunzionale.

Con l’EFT la dipendenza affettiva viene, dunque, depatologizzata per essere studiata solo in termini di efficacia.

Esamineremo qui di seguito una delle situazioni in cui, invece, la dipendenza affettiva può essere indice di un qualche disagio a livello personale.

Premessa

Abbiamo avuto la fortuna di incontrare il vero amore. Ci sentiamo riamati dalla persona stupenda che abbiamo incontrato e che ha cambiato la nostra vita. Tra noi e l’altro è un continuo idillio che ci mette sotto gli occhi l’intesa perfetta che abbiamo raggiunto, ma a volte tutto questo sembra non bastarci.

O meglio, va tutto bene fino a quando la realtà è sotto il nostro controllo, va meno bene se i contorni di questa realtà si fanno più sfumati. Ma entriamo addirittura nel pallone se un’occasionale lontananza infittisce la nebbia fino a non lasciarci più vedere niente dell’altro.

Allora cominciano i pensieri, i dubbi, le immagini che intrusivamente danno corpo alla nostra fantasia. Poi con uno sforzo della ragione rientriamo in noi stessi e diamo un colpo di spugna al ricamo che già stavamo facendo sulla nebbia. Ma dopo un po’ le fantasie ripartono e noi sappiamo che dobbiamo combattere non con nemici reali, ma con i fantasmi che si agitano irragionevolmente dentro di noi.

Interrogativo

Ma come mai, quanto più la nostra relazione ci appare perfetta, quanto più ci sentiamo fortunati, tanto più sentiamo in noi, a volte, un’inquietudine che non riusciamo a spiegarci?

Esempio

Lui è partito per un viaggio di lavoro, noi sappiamo che starà via una settimana, lo teniamo ben presente con la mente, sappiamo che forse avrà difficoltà a telefonarci, magari da dove ci dovrebbe chiamare potrebbe non esserci campo, non esserci internet, oppure il momento adatto per farlo potrebbe crearsi non in perfetta sintonia col momento soggettivo della nostra aspettativa e ritardare enormemente il soddisfacimento del nostro impellente bisogno di risentire la sua voce.

Inoltre, sappiamo che il nostro partner durante la famosa settimana di lontananza avrà occasione di fare nuove conoscenze, intrecciare relazioni, sperimentare situazioni diverse da quelle ordinarie.

Tutto questo non ci spaventa perché la nostra testa ci dice che lui è la persona che conosciamo bene, abbiamo tutti gli elementi per immaginare quello che potrà provare, pensare o sentire… eppure… eppure, non c’è pensiero ragionevole che basti a placare quell’inquietudine sottile, che si stabilisce nella nostra anima a partire dall’attimo dopo in cui ci siamo separati da lui. Cosa ci succede?

Si potrebbe pensare che si tratti di comune gelosia, ma se ci chiedessero se siamo gelosi, probabilmente con la ragione saremmo pronti a giurare che no, non lo siamo! Se qualcuno ci chiedesse se abbiamo motivi per dubitare degli interessi puramente lavorativi che il nostro partner collega al viaggio in parola, ci sentiremmo sinceri nell’affermare che no, gli crediamo eccome!

Dunque, non è la nostra fiducia nell’altro che ci manca, ma allora, da dove nasce la nostra inquietudine? Dall’ipotetico comportamento di altri, nella fattispecie di altre, nostre potenziali concorrenti nell’accaparrarsi la sua attenzione? E come mai c’infastidisce non solo l’ipotesi di uno sguardo più languido, ma anche solo l’immagine di una serata ordinaria, trascorsa con un’altra intorno a una chiacchiera interessante? Cosa ci manca, in definitiva?

Mettetevi tranquilli e non sentitevi in colpa per i vostri sentimenti. Essi semplicemente esistono e bisogna accoglierli per il contributo che vogliono portarci. Il segnale arriva dal mondo lontano dell’inconscio che cerca di comunicare con noi poiché, evidentemente, ha qualcosa di importante da dirci.

L’ansia abbandonica è qualcosa che va afferrata dal verso giusto per poterla debellare; dunque NON dalla prospettiva della ragione che, come abbiamo già visto, non ci conduce a nulla, ma dall’angolazione della pancia, quella dove si muovono emozioni senza ragione e senza meta che pare provino gusto a gettarci tra le braccia dell’incontrollabile. Proprio a noi che abbiamo bisogno del controllo!

Allora, il primo passo da fare è stabilire un’alleanza col nostro inconscio e chiederci: Cosa cerca di dirci? Cosa ci vuole comunicare? Ecco, se prendessimo l’abitudine di colloquiare così con le parti sgradite di noi stessi, probabilmente faremmo molti più progressi di quanti non ne facciamo inseguendo esclusivamente i nostri pensieri.

Dunque, colleghiamoci con quello che la nostra pancia ci sta gridando. Per ciascuno ci saranno dettagli personali diversi, non c’è una risposta uguale per tutti. Ma per ciascuno l’elemento comune sarà l’angoscia di sentirsi abbandonati.

Allora chiediamoci dov’è che si origina tale sentimento? perché dovremmo essere abbandonati? Siamo forse convinti di non essere meritevoli dell’altro? …magari in fondo pensiamo che non è che l’altro ci ami per il nostro semplice modo di essere così come siamo, e che ci caratterizza attraverso doti e capacità che l’altro ci riconosce, ma solo per una inspiegabile fortuna che non sappiamo bene come abbia fatto a capitarci.

Qual è allora il problema da afferrare con le corna? per l’ennesima volta il problema sta nella nostra autostima, quella stessa che ci tiene tesi indefinitamente verso la prestazione da fornire all’altro, che può essere offrirgli una serata piacevole, una cena particolare, un regalo eccitante, il nostro tempo personale da dedicargli e quant’altro possa stuzzicare tutta la voglia di dare amore che sentiamo e che, sul rovescio della medaglia, è anche il prezzo che siamo disposti a pagare per sentirci corrisposti.

La domanda da farci è: mi sento veramente libero con l’altro? o sono stremato dall’intenzione di offrirgli continuamente gratificazioni e ricompense per la gran fatica che fa ad amarmi?

2 risposte

  1. Cara Patrizia,
    Le tue parole descrivono perfettamente la mia situazione. Ormai sono molto sincera con me stessa e in aperto dialogo con la mia “pancia”. Quello che però mi costa è il cambiamento, ma semplicemente perché non so da dove si debba iniziare. Come si “aggiusta” l’autostima? Da dove si parte? Avresti qualche suggerimento per me?
    Grazie mille!

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