E’ certo che in quello che facciamo tante volte mettiamo tutta la nostra anima. Questo a volte può indurci nell’errore di identificarci con i nostri prodotti e di trasferire su di essi la nostra identità. Uno degli equivoci più frequenti nella relazione interpersonale nasce proprio da questa insidia sottile: quella di identificarci con quello che facciamo o pensiamo.
Così, quando gli altri ci manifestano il loro dissenso per la nostra condotta o le nostre idee, viviamo questa cosa come un attacco personale e ci offendiamo a morte perché non ci sentiamo né apprezzati né capiti. In realtà, gli altri hanno manifestato il proprio dissenso solo per un nostro prodotto, che però noi, erroneamente, percepiamo come la nostra stessa essenza spalmata sulla realtà. Così, in queste occasioni, ci capita di non sentirci amati.
Calati in questo equivoco che ci fa confondere l’opera con il suo autore, spesso anche noi, nel guardare gli altri, cadiamo nello stesso errore. Succede, così, che detestare una persona, o decidere di non trattarla più solo perché ciò che dice o pensa non ci aggrada, diventa anche per noi elemento caratterizzante del nostro modo di entrare in relazione.
In questi casi, fermarci un attimo a guardare gli altri come creature potenzialmente in evoluzione, può aiutarci a vedere le parole, i pensieri o le azioni che essi avranno prodotto, come una manifestazione che potrebbe essere del tutto temporanea, occasionale e contingente.
Questo può aiutarci ad offrire all’altro nuove opportunità, poiché magari già da domani potrebbe cambiare, e a ricordarci di distinguere sempre la condotta dalla persona. Guardiamo però a questo atteggiamento mentale, non come ad un moralismo pieno di buona volontà, ma come a un utile specchio che restituirà fiducia innanzitutto a noi stessi, quando non saremo pienamente soddisfatti di ciò che facciamo.
La stessa benevolenza, infatti, siamo tenuti a esprimerla verso di noi, considerando ogni azione che non ci soddisfi, come isolata e scusabile. Sarà assai più proficuo, infatti, guardare al movimento complessivo del nostro andare. Per questo, non perdiamo parte del prezioso tempo che abbiamo a disposizione, per bollarci con uno stigma solo perché una cosa ci è riuscita male e ci suscita rammarico, pentimento o vergogna, ma impariamo con speditezza a partire da quel fallimento, per costruire nuove condotte.
L’importante è voltare pagina e cominciare daccapo. In fondo, ogni mattina segna l’inizio di un nuovo giorno. Ogni giorno che abbiamo dinanzi è un foglio immacolato, a nostra disposizione, per scriverci la nostra vita.