Che cos’è l’autostima
Quando parliamo di autostima, dobbiamo tenere ben chiaro nella mente di cosa si tratti.
Il più delle volte con questo termine si fa erroneamente riferimento a una valutazione positiva di sé.
Ma in realtà l’autostima è una valutazione di sé che, senza edulcoranti, né peggiorativi, risponde alla verità di quello che siamo, nel bene e nel male. Diciamo che una persona ha una buona autostima, quando essa ha una buona conoscenza di sé.
“Il gigante dei sogni e il nano delle paure”
Può essere illuminante al riguardo l’espressione adoperata dalla filosofia del Progetto Uomo, ideato da Don Mario Picchi per liberare i ragazzi dalla dipendenza della droga. Essa, nel riferirsi agli inganni a cui la mente può indurci nel costruire l’immagine di sé, parla del “gigante dei propri sogni e del nano delle proprie paure”, ed accompagna gradualmente i giovani a conoscersi, invece, nella propria verità di persone, con pregi e difetti, abilità e capacità, tutte da scoprire.
Avere una vera conoscenza di noi stessi, significa avere uno sguardo “puro” su quello che siamo, cioè privo di tutti quei condizionamenti che possono alterare la visione che abbiamo di noi stessi. Intendiamo con questo, tutti i giudizi che abbiamo sempre raccolto a nostro carico e che ci dipingono in una certa maniera.
La scoperta di noi stessi
L’avventura più entusiasmante della vita è, invece, scoprire chi veramente siamo, una volta che ci siamo dissotterrati dal fardello degli appellativi che ci sono stati dati.
Se qualcuno ci aiuterà in questo saremo agevolati, ma potremo anche farne il fulcro della nostra attenzione e far girare tutto intorno a una rivelazione che ci lascerà a bocca aperta. Potremmo infatti scoprire di essere qualcosa di molto diverso da quello che il giudizio degli altri ci ha rimbalzato addosso per una vita.
Perché è anche possibile che noi siamo diventati veramente quello che gli altri volevano che fossimo, ma questo non deve trarci in inganno, perché possiamo sempre mobilitare in noi risorse che non sapevamo di avere e che ci avviano ad un cambiamento.
Questo è quello che accade appunto in un percorso di consulenza, durante il quale cadono tutti quegli inutili orpelli che avevamo intorno ed usciamo finalmente allo scoperto nella verità delle nostre potenzialità.
Siamo esseri in movimento
La prima scoperta che faremo ci svelerà che non siamo qualcosa di statico, di cui potremmo ritrarre una foto per riposare una volta per tutte su un concetto ben assemblato di noi stessi. Siamo piuttosto una realtà in evoluzione, perché è la nostra stessa natura a volerci “suscettibili di movimento” e a noi non resta che accorgercene.
Effettuiamo un movimento da “un me di prima” a un “me di dopo” ogni volta che scegliamo di operare un cambiamento nella nostra condotta. Dunque, nulla ci inchioda a un destino segnato, sia che esso sia positivo, sia che esso sia avverso, perché noi avremo sempre il potere (o la responsabilità) di cambiare la nostra risposta agli eventi, tenendo in mano il timone della barca.
La nostra flessibilità ci farà raccogliere, in questo processo di autoconoscenza, una serie variegata di “foto di noi stessi” nelle quali saranno elencati e variamente assortiti pregi e difetti del momento, senza che nessuna di esse abbia il potere nefasto di inchiodarci ad un’unica etichetta.
Se saremo vigili nell’interagire ogni volta in maniera attivamente proficua con la realtà, ogni giorno ci modificheremo un pochino. A questo concorreranno le esperienze, gli eventi e la nostra intenzionalità.
Il problema della paura
Ma vediamo dove nascono i problemi e che cos’è che ci può bloccare in questo processo.
Al riguardo, uno dei concetti più depotenzianti è il classico “Sono fatto così, non ci posso far nulla!”
Spesso, quando ci troviamo di fronte a un ostacolo, sappiamo bene quello che dovremmo fare, ma non riusciamo a farlo perché non ci riteniamo capaci di fare una cosa, mentre magari, invece, lo siamo.
Ci sono cioè dei blocchi, che ci impediscono di evolvere. Il blocco principale è la paura, che ci frena dall’essere curiosi e dallo sperimentare nuove strade, a causa di una mancanza di coraggio.
Al di là di percorsi di aiuto ad hoc che possono sostenerci e rimangono indispensabili per chi ha patologizzato tali blocchi ed ha una percezione negativa di sé soggettivamente alterata, c’è qualcosa che potremo fare anche da soli, se le nostre sono solo cattive abitudini, non sedimentate in un problema psicologico diagnosticato.
Le domande giuste da farsi
Potrebbe aiutarci, allora, l’atteggiamento mentale, del “perché no?!”, che ci sollecita ad accettare le sfide che a mano a mano ci si pongono dinanzi.
Ipotizziamo di avere davanti a noi un obiettivo che ci spaventa e di fronte al quale pensiamo “non ci riuscirò mai!”.
La prima domanda che dobbiamo farci è: “La rinuncia che mi nasce spontanea è la risposta abituale a questo genere di sfide, oppure si tratta di una risposta contingente e legata al caso particolare?”.
Da ciò che risponderemo avremo già una grossa indicazione sulle nostre modalità di funzionamento.
Dobbiamo infatti capire bene se la rinuncia ad affrontare il problema nasce da una nostra reale e obiettiva incapacità o piuttosto dalla “paura” di non riuscire.
Il vaglio della risposta
E’ tutta questione di consapevolezza. E’ infatti saggio rinunciare a un’azione, se si è certi di non avere la competenza per compierla. In quel caso siamo lucidi sulla questione, e semplicemente realistici. Ci accorgeremo di questo perché il sentimento preponderante sarà il semplice rammarico, che contempla un dato di fatto.
Dovremo invece allertarci, se capiamo che al fondo della nostra inerzia c’è solo una matta paura di non riuscire. In quel caso il sentimento preponderante sarà l’ansia, perché, mentre qualcosa dentro di noi ci dice che avremmo carte sufficienti per provare, qualcos’altro, invece, ci spaventa al punto da dissuaderci.
La nuova prospettiva
Allora, in questo secondo caso, la risposta alternativa, che scaverà nuovi solchi nel nostro cervello mettendo in discussione i circuiti neuronali già presenti come abitudini riflesse, è “Perché no?!”.
L’atteggiamento del “Perché no?!” ci lancia verso la sperimentazione di nuove versioni di noi stessi. Mettersi alla prova significa decidere di uscire dalle nostre paure.
Per trovare il coraggio di farlo, occorrono però due elementi fondamentali, la rinuncia al perfezionismo e una buona dose di autoironia, due elementi che possono illuminare la nostra vita rendendola più leggera.
Il perfezionismo
E’ un altro dei blocchi che possono impedirci di operare. Esso nasce da una visione statica dell’esistenza, sognata come qualcosa di perfetto, dove tutto sta in ordine e dove nessuno può accusarci di aver commesso degli errori.
Esso è in stretta relazione oltre che col giudizio degli altri, con quello che noi stessi operiamo su tutto quello che facciamo. E’ pertanto indice di una mentalità rigida e accusante, che non contempla l’imperfezione.
L’autoironia
L’autoironia, o anche umorismo che dir si voglia, ridimensiona ai nostri occhi l’ immagine di noi stessi. Non siamo qualcosa di intoccabile e perfetto, bensì qualcosa di fallace, di cui si può sorridere con benevolenza. Prendersi troppo sul serio ci lascia sulla posizione del “gigante dei nostri sogni”.
In realtà, siamo molto meno che giganti e questa minorità non inficia la nostra sostanza, ma anzi la valorizza come fattore e premessa di un movimento. E’ proprio il movimento delle nostre cadute, sorretto dal sentimento di una sana autoironia, che ci lancia verso il cambiamento, costituendo il nostro vero valore.
L’evoluzione, infatti, realizza la nostra prerogativa di uomini, che non da subito sono quello che diventeranno un giorno, ma iniziano la propria vita da un semplice grumo di cellule.
La rivalutazione del fallimento
Ma ancora prima della rinuncia al perfezionismo e della scoperta dell’autoironia, dovremo procedere ad una radicale rivalutazione del fallimento. Perché solo operando questo passaggio da un’accezione negativa dell’errore ad una sua accezione positiva, potremo trovare la forza di oltrepassare il nostro Rubicone e lanciare in maniera irrevocabile il nostro dado.
Il fallimento ci esporrà alle sue inevitabili conseguenze, ma se avremo imparato a rivalutarlo, saremo capaci di leggerle con uno sguardo nuovo.
Diventerà in tal modo estremamente importante non solo aver conosciuto i nostri punti deboli, ma anche aver preso atto del nostro coraggio.
Sperimentare in noi una forza nuova, e generatrice di azione, sarà fondamentale per affrontare le future sfide che la vita ci porrà dinanzi, mentre la consapevolezza degli errori commessi ci potrà far correggere il tiro dei nostri interventi.
Il circolo virtuoso del cambiamento
Nel frattempo, però, potremo fare esperienza del cambiamento, perché più ridimensioneremo l’errore, più si ridurranno le nostre paure e più diminuirà la nostra ansia. E quanto più affronteremo gli ostacoli con serenità, tanto maggiori saranno le nostre probabilità di riuscita.
E se gli insuccessi ci faranno progredire, i successi ci faranno addirittura volare.